#14 Perché la comunicazione digitale nel settore culturale è diversa dagli altri settori?
Dietro le quinte della comunicazione culturale: miti da sfatare, sfide quotidiane e opportunità da cogliere.
Chi lavora nel marketing digitale lo sa: ogni settore ha le sue regole. Ma nell’arte e nella cultura? Qui le regole sono ancora più fluide, più complesse e spesso meno chiare. Comprendere questa complessità è essenziale per sviluppare strategie di comunicazione efficaci che vadano oltre le logiche tradizionali del marketing.
C’è chi pensa che basti un account Instagram con belle immagini per promuovere un museo. E chi crede che una newsletter sia solo una noiosa lista di eventi. Spoiler: non è così. Il digitale offre opportunità straordinarie, ma richiede una conoscenza approfondita delle dinamiche culturali per poter essere sfruttato al meglio.
Comunicare la cultura nel digitale significa tradurre il valore culturale in un linguaggio accessibile, senza svenderlo. Vuol dire intercettare pubblici diversi, che hanno ritmi e interessi opposti. E significa soprattutto sapere cosa non fare, perché il digitale è pieno di strategie che nel nostro settore semplicemente… non funzionano.
Ecco perché la comunicazione digitale culturale è un mondo a sé, che necessita di strategie mirate e consapevoli, capaci di bilanciare le regole degli algoritmi con quelle della comunicazione del patrimonio.
1. La cultura non è un prodotto (ma deve comportarsi come se lo fosse) 🎟️
Vendere un biglietto per una mostra non è come vendere un paio di scarpe. La cultura non è un oggetto, è un’esperienza. Il valore di un’opera d’arte o di un evento culturale non si esaurisce nel suo prezzo d’ingresso, ma è costruito su percezione, significati e connessioni personali che si sviluppano nel tempo.
Eppure, per portare visitatori a un museo o spettatori a un teatro, dobbiamo comunque usare strumenti di marketing. E qui arriva la sfida.
Non possiamo parlare con lo stesso tono di un brand che si occupa di fashion, perché il pubblico percepisce la cultura come qualcosa di “alto” (anche quando non dovrebbe, ma questa è un’altra storia).
Non possiamo nemmeno usare la stessa strategia delle startup tech, perché il pubblico culturale ha cicli decisionali molto più lunghi e richiede stimoli più profondi.
Dobbiamo trovare un linguaggio che rispetti il valore della cultura, ma che sia anche efficace nel digitale.
La chiave è trasformare l’arte in una narrazione coinvolgente, senza ridurla a un semplice “prodotto”, ma trovando modalità che ne esaltino il valore autentico e creino connessioni significative con il pubblico.
Qui ti condividiamo un post realizzato per un cliente, di cui andiamo particolarmente fieri a causa della commistione fra contenuto che strizza l’occhio all’algoritmo ma al contempo tratta un tema artistico senza snaturarlo:
2. Il pubblico della cultura è un ecosistema, non un target unico 🏛️
Una delle trappole più comuni? Parlare a tutti allo stesso modo.
Nel marketing si dice che se parli a tutti, non parli a nessuno. E nel settore culturale è ancora più vero. Qui non abbiamo un unico “target”, ma una molteplicità di pubblici, ciascuno con le proprie necessità e aspettative. Capire questa differenziazione è fondamentale per creare contenuti davvero efficaci.
Gli addetti ai lavori: critici, curatori, giornalisti d’arte. Se vuoi parlare con loro, devi avere contenuti di spessore, approfonditi e ben strutturati, capaci di rispondere non solo alle loro domande immediate, ma anche di offrire analisi dettagliate, dati concreti e punti di vista innovativi. Questo pubblico è abituato a un livello di discussione elevato e si aspetta argomentazioni solide, riferimenti a studi e un linguaggio tecnico adeguato al contesto.
I visitatori occasionali: persone che entrano in un museo perché “ne hanno sentito parlare”. Vogliono una comunicazione chiara, emozionale e poco tecnica, che li coinvolga senza farli sentire esclusi.
I giovani creativi: studenti, aspiranti professionisti, curiosi digitali. Vogliono contenuti dinamici, dietro le quinte, opportunità formative e un linguaggio più diretto e interattivo.
I turisti culturali: cercano esperienze memorabili, spesso con poco tempo a disposizione. Qui servono strategie di SEO, advertising e customer journey, capaci di intercettarli nel momento giusto.
Se fai un post su Instagram con un linguaggio iper-tecnico, perderai i visitatori occasionali. Se semplifichi troppo, allontanerai gli esperti. Il segreto è creare contenuti che parlino ai vari pubblici senza perdere coerenza.
In questo video, Martino Margheri, responsabile delle attività educative e del public program di Palazzo Strozzi, racconta una curiosità sui dipinti di Helen Frankenthaler, utilizzando un linguaggio accessibile a diversi tipi di pubblico.
3. Il tempo del digitale è rapido. Quello della cultura è lento. ⏳
C’è una dissonanza enorme tra i tempi della cultura e quelli del digitale.
Una mostra si progetta in anni.
Un festival culturale ha cicli stagionali.
Un libro ha un suo percorso di vita molto più lungo di una tendenza social.
Nel frattempo, il digitale brucia contenuti a velocità folle. Un post su Instagram vive 48 ore al massimo. Un trend TikTok dura una settimana. Una newsletter deve mantenere costanza per non scomparire dalla mente dei lettori.
Questa discrepanza crea problemi:
Le istituzioni culturali spesso comunicano solo nei momenti clou. E nel resto dell’anno? Silenzio.
Chi prova a stare al passo con il digitale a tutti i costi rischia di perdere profondità.
Molti brand culturali non hanno una strategia di contenuti a lungo termine.
La soluzione? Creare un mix tra contenuti evergreen e contenuti rapidi.
4. Il digital marketing per la cultura non è (solo) social media 📊
Un altro mito da sfatare: la comunicazione digitale non è solo Instagram.
Sì, i social sono importanti. Ma da soli non bastano. E spesso non sono nemmeno il canale che converte meglio nel settore culturale. Il digitale offre una varietà di strumenti che, se usati in modo sinergico, possono amplificare la portata della comunicazione e migliorare il coinvolgimento del pubblico.
Ad esempio, l’email marketing è uno dei metodi più efficaci per mantenere un dialogo costante con la propria audience, permettendo di segmentare il pubblico e offrire contenuti personalizzati. Le strategie SEO sono altrettanto cruciali: se un visitatore cerca eventi culturali o mostre su Google, è fondamentale che le istituzioni culturali abbiano un sito ben posizionato per intercettare questo traffico.
Inoltre, le campagne di advertising digitale su piattaforme come Google Ads e Facebook Ads possono aiutare a promuovere eventi e iniziative a target specifici, aumentando la visibilità e la partecipazione. Infine, l’uso di contenuti long-form, come blog, podcast e video su YouTube, consente di creare narrazioni più approfondite e attrarre un pubblico più fidelizzato.
Le interviste sono un ottimo esempio di contenuto long-form: permettono di esplorare storie, esperienze e prospettive in modo più profondo. È il caso di questa conversazione, in cui Gianni Berengo Gardin, insieme al curatore Denis Curti, condivide ricordi e aneddoti sul suo rapporto con Ugo Mulas.
In sintesi, per una strategia digitale di successo nel settore culturale, bisogna guardare oltre i social media e sfruttare tutti gli strumenti disponibili per costruire una comunicazione solida e duratura.
Conclusione: la comunicazione digitale culturale ha bisogno di un cambio di mentalità 💡
Ecco la verità: comunicare cultura online è difficile.
Non basta copiare le strategie dei brand commerciali. Serve un approccio dedicato, che rispetti il valore dell’arte, della letteratura, della musica.
Bisogna imparare a parlare a pubblici diversi, adattarsi ai tempi del digitale senza perdere profondità e usare tutti gli strumenti disponibili, non solo quelli più facili.
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