#17 Accessibilità digitale: ci siamo o non ci siamo? 🏛️
Se vuoi lavorare nel mondo dell’arte ti facciamo un recap dei must-have dell’accessibilità digitale di un museo. Non sia mai che esca fuori a un colloquio!
Ciao Hubovies,
welcome back nella nostra newsletter settimanale (o quasi) dove ci ritroviamo per parlare di come il digitale stia cambiando il modo di vivere l’arte e l’editoria.
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Oggi ci focalizziamo su un tema che ci sta particolarmente a cuore: l’accessibilità digitale. In altre parole, come fare in modo che l’arte diventi davvero di tutti (e per tutti), a prescindere da barriere fisiche o geografiche, grazie all’uso consapevole e strategico di contenuti multimediali come audio-guide, streaming e video.
Accessibilità digitale: un museo nel tuo smartphone (ma fatto bene) 📱
Negli ultimi tempi, tante realtà museali hanno compiuto un passaggio al digitale, creando tour virtuali, app per dispositivi mobili, conferenze in streaming e persino audioguide disponibili on demand. Tuttavia, spesso ci si limita ad appiccicare un “tour virtuale” qua e là, come fosse l’ultima ruota del carro nella strategia del museo. Ma – e qui veniamo al punto – “accessibilità” non significa fare un copia-incolla di un percorso fisico e metterlo online. Significa mettere al centro l’esperienza dell’utente, ovunque esso sia, con i suoi tempi e le sue esigenze.
Perché l’accessibilità conta davvero
Barriere fisiche: Pensiamo a chi, per motivi di salute o distanza geografica, non può muoversi liberamente. Un tour digitale, se ben progettato, diventa la chiave che apre le porte del museo a chiunque.
Inclusione: Vuol dire rendere fruibili i contenuti a persone con disabilità uditive, visive o motorie, usando strumenti come sottotitoli, descrizioni audio, percorsi di navigazione semplificati su app e siti.
Connessione emotiva: Quando un museo ha una vera strategia digitale, non ti senti uno spettatore passivo, ma ti immergi in un percorso interattivo: decidi tu la velocità, i contenuti extra che vuoi approfondire, persino se ascoltare o leggere la storia di un’opera.
Dal “faccio un video e lo butto online” all’esperienza di valore 📹
L’errore più grande che vediamo spesso è pensare all’accessibilità digitale come un contentino extra: “Vabbè, ci mettiamo due foto in 3D e siamo a posto”. No, non è così che si vince la guerra.
Progettazione strategica: Prima di tutto, occorre chiedersi: “Che cosa voglio che viva il visitatore digitale? Che tipo di esperienza desidero creare per chi non può venire fisicamente in museo?”
Qualità del contenuto: Video con ottimo audio (meglio ancora con sottotitoli multilingue), schede di approfondimento in una lingua semplice e inclusiva, audioguide registrate da speaker professionisti o attori, e magari video sottotitolati per non udenti.
Interazione: Chat live con storici dell’arte o curatori, sessioni streaming in diretta per “visitare insieme” una mostra, spazi dedicati alle domande (anche banali) del pubblico. L’arte è confronto, e il digitale ci permette di replicare una parte di quella magia dell’incontro reale.
Come la digitalizzazione abbatte le barriere (e costruisce community)
Non dimentichiamoci che l’arte non è (o meglio, non dovrebbe essere) un privilegio di pochi, ma un ponte, uno strumento per tutti. Abbiamo visto molti esempi dove un buon percorso digitale è riuscito a:
Connettere persone di culture diverse: Pensiamo a una diretta streaming di una performance artistica che riunisce studenti da tutto il mondo. Un esempio concreto? La Tate Live Performance Room: una serie di performance trasmesse in diretta streaming in tutto il mondo attraverso il sito web della Tate e il suo canale YouTube. Dopo le performance, il pubblico poteva partecipare a una sessione di Q&A con l'artista e il curatore, creando un dialogo globale e abbattendo le barriere geografiche e culturali.
Far viaggiare le opere: Spesso le collezioni storiche non possono spostarsi fisicamente (per costi, fragilità ecc.), ma possono fare il giro del pianeta in forma digitale, arricchite da contenuti e interviste, permettendo a chiunque di “assaggiare” un capolavoro. E se qualche opera ha dovuto rinunciare a viaggiare fisicamente, Google Arts & Culture ha fatto il resto, permettendoci di esplorare 2500 musei internazionali senza nemmeno cambiare pigiama durante la quarantena.
Creare una community appassionata: Un museo che investe nell’accessibilità digitale non ha solo visitatori, ma “ambassador digitali”: non stiamo parlando di content creator, anche se spesso fanno un buon lavoro, ma anche del team stesso dell’istituzione. Ecco come Palazzo Strozzi coinvolge il proprio team nella comunicazione digitale: in questo video una delle registrar del museo risponde a una domanda arrivata direttamente sul canale TikTok dell’istituzione. Coinvolgimento autentico, interazione diretta e un tocco di dietro le quinte!

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Ok, ma come si fa concretamente? 📸
Un paio di idee che noi di Hubove Studio amiamo proporre (ovviamente da personalizzare in base alle esigenze del singolo museo):
Mini-video pillole (max 2 minuti) per presentare un capolavoro a settimana, pubblicati su Instagram e su una sezione “Digital Tour” del sito. Con sottotitoli, mi raccomando.
App dedicata con audioguide interattive, dove si possa scegliere il grado di approfondimento (livello “curiosə principiante” o “addettə ai lavori”).
Live streaming + chat: un curatore che, una volta al mese, “porta in giro” il pubblico online in una sala specifica del museo, rispondendo alle domande in diretta.
Accesso per tutti: Siti web e app conformi ai principali standard di accessibilità (es. WCAG), con design inclusivo (grandi contrasti, pulsanti ben visibili, font leggibili e responsive).
Anche l’occhio (digitale) vuole la sua parte
È fondamentale mantenere una coerenza visiva tra l’esperienza fisica e quella online. Se il museo ha una forte identità visiva, il salto nel digitale deve rispettare colori, font, stile. Un visitatore, anche da remoto, deve sentirsi a “casa” in quel museo.
💡Bonus:
Due realtà da tenere d’occhio per rimanere sempre aggiornati sotto questo aspetto (e voi direte, beh, ci mancherebbe!) sono la National Gallery e il MoMA.
National Gallery Imaginarium è il nuovo strumento con cui il museo coinvolge i suoi visitatori online, offrendo tour guidati e personalizzati. Non si limita a mostrare le opere, ma accompagna il pubblico in un vero e proprio viaggio tra i dipinti, stimolando riflessioni personali e invitando ciascuno a porsi domande davanti a un’opera. Le risposte, poi, vengono messe in relazione con quelle degli altri visitatori, trasformando l’esperienza individuale in un dialogo collettivo e facendo sentire l’utente parte di una vera comunità.
La guida del MoMA sull’app Bloomberg Connects, invece, è disponibile in 40 lingue e rende l’esperienza museale ancora più inclusiva e accessibile. Grazie a questa guida interattiva, i visitatori possono ascoltare audioguide, seguire tour autoguidati, esplorare la mappa digitale del museo e approfondire mostre e opere iconiche. Una best practice da tenere d’occhio!
Conclusioni (e un invito)
L’accessibilità digitale non è un orpello, ma un’opportunità preziosa: se fatta bene, permette di raggiungere e coinvolgere persone da ogni parte del mondo, creando una relazione empatica con l’opera d’arte. Per noi che operiamo nel digital marketing, ma soprattutto per le istituzioni culturali, è un modo concreto di realizzare la missione: portare la bellezza, la conoscenza e il piacere dell’arte ovunque.
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A presto (e buon tour virtuale, ma fatto bene),
I tuoi amorevoli Hubovies di quartiere 🦸🏽♀️🦸🏻♂️
Ciao! Molto interessante questo testo, con molti spunti pratici! Mi permetto di commentare perchè insegno museologia da molto tempo in vari contesti e mi piacerebbe confrontarmi con voi -che siete del settore- sul tema del digitale in museo come uno strumento escludente. Durante una formazione qualche tempo fa sono rimasta molto colpita da una collega australiana che condivideva questa infografica (scusate, non riesco ad allegare direttamente l'immagine: https://goodthingsaustralia.org/nitropack_static/VEeDmbmjZRkZYyieSPkzyBFedhlGNfRc/assets/images/optimized/rev-77cdc8d/goodthingsaustralia.org/wp-content/uploads/2021/07/DigitalNation-Split-Column-with-Text-1024x547.png )
Secondo voi come possiamo affrontare il problema dell'esclusione e della fatica digitale?