#18 Katy Hessel è il sogno di tutti noi impallinati con il lavoro culturale
Katy Hessel ha aperto una pagina Instagram nel 2015 andata virale in pochi anni e oggi è una delle leader del mondo dell’arte. Come ha fatto?
Katy Hessel è passata in dieci anni da un profilo Instagram lanciato nel 2015 – @thegreatwomenartists, oggi a quota 447k follower – a firma autorevole del mondo dell’arte grazie al bestseller The Story of Art Without Men, eletto Waterstones Book of the Year 2022 e ormai tradotto in mezza Europa. Il suo caso è una master‑class su community building culturale: contenuti verticali, tono accessibile, presenza multicanale (podcast, radio, TV) e un prodotto editoriale che re‑immagina il canone, ribaltando (con garbo ma decisione) l’onnipresente Gombrich e la sua mastodontica Storia dell’Arte.
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1. Chi è Katy Hessel
Il biglietto da visita di Katy Hessel potrebbe far invidia ad Hans Ulrich Obrist, se pensiamo che il Curatore con la C maiuscola ha addirittura 25 anni in più di lei (oltre ad essere un uomo, che abbiamo capito contare ancora molto nei tempi che corrono): l’autrice di cui oggi parleremo è storica dell’arte, curatrice e divulgatrice 30‑under‑30 secondo Forbes (Europe, Art & Culture 2021). Classe 1994, formazione UCL, lancia nel 2015 @thegreatwomenartists per postare una donna artista al giorno e colmare un feed ancora troppo maschile.
Oggi quel profilo macina 447.000 follower e oltre 2.700 post, con un engagement medio dell’1,28%, in linea con altri account della nicchia arte su Instagram (Fonte: StarNGagePlus). Sebbene i benchmark 2025 di Phlanx indichino un engagement medio del 3,75% per gli account tra 100k e 1M follower, questo valore resta competitivo nel contesto specifico della comunicazione culturale. Anzi, in molti casi supera le performance di progetti editoriali e pagine dedicate alla divulgazione, dove l’engagement tende a non superare l’1%.
Katy Hessel oggi è molte cose: conduce documentari BBC, firma podcast e tiene lecture all’interno di musei di fama mondiale (MET e TATE, solo per citarne alcuni).
2. Dal feed alla fama: @thegreatwomenartists
Visto che siamo su Hubove Studio, non ci concentreremo sulle implicazioni culturali che la vita e la storia di Katy Hessel stanno dando al mondo dell'arte, piuttosto sulla rivoluzione comunicativa a cui questo progetto editoriale ha dato vita.
La domanda sorge spontanea:
@thegreawomenartist deve il suo successo alla semplicità del messaggio di cui si fa portavoce o alla bravura tecnica della sua founder? Proviamo, come sempre, a rispondere a questa domanda partendo da quello che possiamo vedere online.
La rivoluzione di @thegreatwomenartists nasce dall’idea più semplice (e più scandalosa) possibile: raccontare la storia dell’arte senza gli uomini (del resto, è stato molto facile fare il contrario per secoli: raccontare e studiare la storia dell’arte senza le donne).
Come Hessel stessa afferma nel video Youtube che vi lasciamo qui sotto:
We’ve essentially got away with celebrating the history of patriarchy rather than the history of art.
Quando Katy Hessel apre il profilo nel 2015, lo slogan è chiaro: «postare una donna artista al giorno», risposta‑pop a manuali scolastici dove i nomi femminili sono poco più che note a piè di pagina. Basti ricordare che la prima edizione del mitico Story of Art di Gombrich (1950) non include neppure una donna, e bisognerà aspettare la 16° per includerne solo una.
Questa missione cristallina diventa carburante per il passaparola: studenti, curatori e collezionisti – uomini compresi – condividono i post perché vi riconoscono un buco nero comune nella propria formazione, la stessa lacuna denunciata da campagne virali come #5WomenArtists.
Hessel, però, non si limita al contenuto storico-artistico, ma si dimostra fin da subito pronta ad accogliere le sfide della comunicazione digitale: padroneggia le leve del copywriting anglosassone – frasi brevi, vocabolario anti‑accademico, domande dirette («Quante pittrici surrealiste conosci?») – che abbassano la soglia d’ingresso senza sacrificare l’autorevolezza.
Hessel parla, potremmo dire, da fan a fan: il suo storytelling caloroso («questa pittrice è la mia ossessione del lunedì») abbassa l’aura di cui l’arte si fa da sempre portatrice e rompe quella barriera all’ingresso che in Italia siamo ancora troppo abituati a temere.
Il risultato è un tono entusiasta, quasi confidenziale, capace di trasformare la denuncia in entusiasmo partecipativo: lo dimostra il progetto Museums Without Men, adottato da Met e Tate, che usa audio‑tour per ribaltare la narrazione in sala e coinvolgere visitatori di ogni genere. Il mix di competenza e accessibilità è la leva che trasforma pubblico curioso in community attiva – le caption generano thread di più di 100 commenti su temi di gender gap .
In sintesi: grande competenza in materia e utilizzo di copywriting mirato al coinvolgimento del pubblico dimostrano che, ancora oggi nel 2025, comunicare è un po’ curare, il che significa anche saper scrivere didascalie da 2.200 caratteri che scatenano dibattiti internazionali.
Contenuti premiati dall’algoritmo:
Carousel didattici: che spiegano un’opera in 10 swipe – perfetti per l’algoritmo “salva & condividi”
Prevalente utilizzo di immagini terze: si potrebbe dire che Katy Hessel abbia avuto la vita facile, perché la maggior parte dei contenuti visuali da lei pubblicati non sono stati realizzati da lei. Non è un’affermazione del tutto sbagliata: fare uso di immagini di grandi artiste donne e in generale di opere d’arte fotografate per usi ufficiali (immagini stampa, exhibition views, ritratti di grandi artiste) ha favorito la diffusione dei suoi contenuti. Tuttavia, vi facciamo una domanda: avrebbe potuto fare altrimenti?
Cross‑promo costante: ogni post rimanda al podcast omonimo, generando traffico circolare
3. Quando l’algoritmo incontra la missione: The Story of Art without men
The Story of Art di Ernst Gombrich, pubblicato nel 1950, tradotto in oltre 30 lingue e forte di 8 milioni di copie vendute, è il manuale‑porta d’ingresso per generazioni di studenti di storia dell’arte e persone particolarmente appassionate (anche Eleonora, la 1/2 di Hubove Studio, ha portato questo libro nel corso del suo esame di storia della critica d’arte).
Tuttavia, la Bibbia della storia dell’arte nella sua 1° edizione presentava zero donne artiste al suo interno, e abbiamo dovuto aspettare la 16° per trovarne citata ben…una sola.
Proprio da questa voragine parte Katy Hessel: titola The Story of Art without men per piazzarsi in campo aperto contro il “fratello maggiore” e marcare immediatamente il territorio. Se ci pensate, abbiamo assistito a una delle regole auree del marketing: trovare una nicchia di mercato non presidiata da nessuno e immergercisi dentro, per occupare il primo posto e fare spazio agli altri.
Il volume The Story of Art without men – 512 pagine sontuosamente illustrate che coprono dal XVI secolo a oggi – è pensato come “correttivo illustrato e godibilissimo”, scrive il Times Literary Supplement, e come ispirante mazzata al vecchio canone secondo The Guardian.
Il Financial Times lo definisce “plea for overlooked female artists”, mentre The Spectator riconosce che ha definitivamente scardinato il canone. Non a caso Waterstones l’ha incoronato Book of the Year 2022 e, stando ai dati Nielsen, le copie vendute nel solo Regno Unito hanno superato le 12900 in pochi mesi.
In sintesi potremmo dire che il feed da 447k follower ha generato una community che chiedeva più profondità; il libro gliel’ha data, dimostrando che una strategia di contenuti social può sfociare in un libro senza perdere un briciolo di appeal culturale – anzi, trasformando i like in lettori paganti.
In pratica, il sogno di tutti gli editori che chiamano gli influencer a scrivere libri per fatturare.
4. Cinque mosse (concrete) per trasformare anni di studi d’arte in un progetto editoriale che lasci il segno
Realizza la tua mission e rendila un mantra
Individua il buco nero nel racconto ufficiale (Hessel: “una donna artista al giorno”) e occupalo con una frase‑bandiera che tutti possano citare al volo. Se il tuo obiettivo non entra in una t-shirt o in un adesivo da appiccicare su un palo della tua città, non è ancora abbastanza cristallino.
Pacchetta la competenza in formati friendly
La teoria di anni di studio diventa pratica in caroselli da salvare, reel, newsletter seriali. Semplifica senza banalizzare: un post è quasi sempre basato su un’idea forte e una call to action (“Conosci altri collage futuristi?”). L’attenzione nasce dal ritmo, non dalla lunghezza dei tuoi testi. Qui trovi un articolo sulla comunicazione culturale che abbiamo scritto qualche mese fa, fanne buon uso!
Parla come un fan, non come un espertə
Bandisci gergo curatorə‑centrico. Usa periodi brevi, verbi attivi, domande dirette. Il lessico accessibile non svilisce la ricerca, la rende condivisibile—ed è la scorciatoia più rapida dall’aula universitaria al feed Instagram di Art Lovers come te.
Costruisci un ecosistema a imbuto (quando avrai studiato abbastanza marketing digitale)
Feed gratuito → podcast di approfondimento → e‑book o qualsiasi prodotto digitale tu voglia. Ogni touchpoint deve rimandare al successivo, per trasformare il follower curiosə in lettorə, visitatorə, clientə. La mission è la colla che tiene insieme il tutto.
Fai della community il tuo comitato scientifico
Invita il pubblico a suggerire temi, autori, domande: aumenta engagement e raccogli insight su cosa pubblicare domani. Rispondi, ringrazia, cita — nascono relazioni (e opportunità) che le bibliografie non forniscono.
5. È il momento di rimboccarsi le maniche
In fin dei conti, la lezione di Katy Hessel è lampante: il digitale non è una passerella riservata ai primi arrivati, ma un cantiere aperto dove chiunque – con una missione nitida, una voce riconoscibile e una dose sana di ostinazione – può ancora ritagliarsi un posto in prima fila. Le cinque mosse qui sopra non sono la formula magica per il successo: sono il promemoria che la teoria accademica diventa potenza solo quando sporchi le mani di caption, algoritmi e relazioni concrete.
Rimboccarsi le maniche, dunque, non è facoltativo: significa impaginare quelle ricerche in un carousel, registrare il primo podcast con un microfono entry‑level, buttare fuori una newsletter che forse leggeranno in dieci (all’inizio). Ma quel “pubblica” premuto con un filo di tremarella apre le porte a nuove narrazioni, nuove autrici, nuovi progetti di curatela.
Se Hessel ha dimostrato che un profilo Instagram può ribaltare settant’anni di canone, c’è margine perché tu possa ribaltare il tuo micro‑canone personale, dal restauro medievale all’editoria d’artista. Il digitale non è saturo: è solo in attesa della prossima voce che dica qualcosa di necessario.
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Complimenti Hubove, magnifico articolo e straordinaria analisi, davvero bravi.