Lavorare nel marketing editoriale e culturale #3
Intervista a Lara Vianello, comunicazione digitale per Marsilio Editori e Marsilio Arte.
Ciao e welcome back nella newsletter dove condividiamo casi studio di Digital Marketing nel mondo dell’arte e della cultura, consigli per lavorare nel nostro settore, progetti di lavoro realizzati da noi stessi e che possono esserti utili per imparare cose nuove nel mondo della comunicazione digitale.
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Lara Vianello si occupa di comunicazione digitale in Marsilio Editori e Marsilio Arte e noi di Hubove Studio lavoriamo con lei ormai da un anno. In questa chiacchierata parliamo del suo lavoro, ma anche di come vede, oggi, il futuro del settore culturale.
(Comunque alla fine le abbiamo chiesto se aprirebbe mai p.iva, visto che è una domanda che in molte persone si fanno quando si tratta di comunicazione e marketing, quindi perché non farla a lei?).
1. Ciao Lara, prima di entrare nel vivo della chiacchierata, potresti introdurre brevemente i tuoi studi e i vari lavori che hai fatto prima di arrivare in Marsilio Editori e Marsilio Arte?
Ciao Hubove grazie per questo spazio di riflessione condivisa. Il mio percorso di formazione è decisamente poco lineare, ma non siamo a un colloquio, quindi posso far cascare il velame della ricerca di coerenza: dopo il diploma ho iniziato gli studi in Conservazione dei beni culturali a Venezia, ma li ho presto interrotti sedotta dal Posto Fisso presso quella che all’epoca si chiamava Fiat Group, oggi FCA Italy, se non sbaglio. Lì ho iniziato come front office, proseguito come sales account e poi ho iniziato, nel 2005, a occuparmi di marketing – erano gli anni di Marchionne e Lapo Elkann, per intenderci, ma l’atmosfera torinese mi arrivava di striscio, io facevo base a Milano, precisamente ad Arese, sede storica dell’Alfa Romeo.
Nel 2008, con quel bel vento di crisi in poppa, sono entrata in Red Bull per occuparmi di trade marketing nel settore della GDO, in seguito anche di field force management – una bella azienda di respiro internazionale tutta fatta di prodotto (uno), eventi e marketing – poi qualcosa è cambiato, e il richiamo verso il mondo del libro e della cultura ha iniziato a farsi sentire sempre più forte.
Nel 2010 ho sentito il bisogno di una forte cesura, ho quindi ripreso gli studi universitari pur continuando a lavorare full time e, dato che il sapore del “fare quello che mi piace fare” era inebriante, ho cambiato vita e città: sono tornata quindi a Venezia, dove ho dapprima concluso gli studi in beni culturali, e poi ho continuato con una magistrale in Filologia moderna (un mix di arte e letteratura quindi), infine, sono tornata temporaneamente a Milano per un master in Editoria cartacea e digitale. Nel frattempo, ho anche lavorato per sette anni al Teatro la Fenice. Marsilio comunque doveva essere semplicemente il mio stage curricolare…non l’ho più lasciata!
2. Come sai, nella pagina Instagram di Eleonora si parla spesso di lavoro nel settore culturale. Diciamo che il tuo è un caso abbastanza isolato, visto che in questo momento della tua carriera ti occupi sia di comunicazione editoriale che di comunicazione culturale. Quali sono le differenze fra le due e come ti sembra il mondo della comunicazione culturale oggi?
È innegabile che ci sia una linea di demarcazione tra comunicare per il brand di “arte-libri” e i due brand “libri-libri”, la cosa interessante è che si tratta di un confine a volte sfuggente. Marsilio Arte porta Marsilio nel nome e nella sua storia, oltre che in quella delle persone che fanno parte del team di lavoro e del direttivo: per questo i valori fondanti di queste tre realtà (la terza è Sonzogno) non possono essere così distanti e distinti, così come i metodi di lavoro, le procedure, le relazioni interne e verso l’esterno. Ci sono comunque differenze oltre ai punti in comune: Marsilio e Sonzogno hanno un piano editoriale fatto di tanti libri e di tanti autori da comunicare e con cui lavorare nell’arco dell’anno, l’attività di lancio a volte include anche una sinergia di gruppo con Feltrinelli (di cui facciamo parte) e con la vasta rete di librerie, festival, fiere e premi in cui organizziamo gli eventi e le presentazioni.
Marsilio Arte è una società distinta, non solo un brand ed è di fatto anche una casa editrice, perché pubblica tutti gli illustrati e cataloghi d’arte che prima erano Marsilio Editori, ma in primis Marsilio Arte organizza e produce mostre proprie o a vari livelli di partnership con altre istituzioni, gestisce bookshop e organizza eventi.
Se vogliamo semplificare, i piani social e digital dei tre marchi oltre ad avere sempre obiettivi di crescita dei canali e della brand awareness sono volti da una parte a portare le persone a visitare le mostre, dall’altra ad acquistare il libro o l’ebook. Però anche Marsilio e Sonzogno hanno eventi a cui portare le persone, così come Marsilio Arte ha le sue pubblicazioni, oltre alle mostre. In entrambi i casi poi, ci sono autori, artisti, curatori, giornalisti, podcaster, art o book influencer da coinvolgere. Quindi, non vorrei davvero ricorrere alla metafora culinaria, però è così: la comunicazione digitale per l’editoria e quella per l’arte prevedono ingredienti simili per portare a risultati diversi a seconda di come questi vengono dosati e impiegati. E poi ricordiamoci che si tratta sempre di raccontare una storia, di diffondere contenuti culturali. L’importante è usare il linguaggio giusto, i formati più efficaci, sapere di cosa si sta parlando e quale voce si vuole essere.
Il mondo della comunicazione culturale mi sembra affollato e in grande evoluzione: per esempio, trovo molto bello che oggi si possa scegliere tra molti formati e canali per approfondire uno stesso argomento. Lo so che è così da diversi anni, però ciò che cambia è la gerarchia delle fonti rispetto alla qualità delle informazioni: mi sembra che ci siano sempre più contenuti di qualità diffusi in formati non tradizionali. Se guardo al digitale, credo che questo avvenga perché finalmente gli enti culturali, detentori di ottimi contenuti si stanno adeguando e specializzando nei nuovi linguaggi, ma parallelamente vedo crescere nuove realtà, solide e autorevoli, che non hanno un passato di media “tradizionali” e hanno iniziato a comunicare direttamente sui new media (se ancora si può dire new media nel 2023).
Non smetto però di chiedermi alcune cose: la vastità della scelta e la verticalità di molti contenuti possono in qualche modo paralizzare la fruizione o impedire un approccio sistematico e graduale a un argomento? È sempre più difficile essere certi di aver scelto i prodotti migliori per costruire la nostra “dieta mediatica” oppure al contrario, è più facile verificare le fonti e il profilo dell’autore o dell’autrice di ciò che stiamo fruendo?
3. Noi di Hubove parliamo anche di lavoro nel settore culturale (abbiamo scritto un articolo proprio la settimana scorsa), senza vendere “il sogno” o dare false speranze. Tu sei un po’ più grande di noi, però sei perfettamente in grado di vedere come vanno le cose nel tuo piccolo. Quale direzione pensi si stia prendendo nel mondo dell’arte e della cultura e quali sono le prospettive di lavoro in un settore come questo?
Come dicevo, finalmente gli enti culturali si stanno adeguando e specializzando nei nuovi linguaggi, il che significa che (forse troppo lentamente?) editori, musei e istituzioni varie stanno riguadagnando uno spazio che avevano in un primo momento pressoché totalmente lasciato ai “non-officials”. E, sempre come accennavo sopra, parallelamente nascono nuove e interessanti realtà direttamente nell’ecosistema del digitale. Ho osservato direttamente il processo, che somiglia a quello dell’apprendimento di una lingua: all’inizio si percepiscono solo catene di suoni non discrete, come, che ne so: “quellochesegueisocial” come? Quali? E il resto del digitale? E in che senso li “segue” cosa fa e perché? Poi con il tempo si sono iniziate a distinguere le varie parole e attribuito loro un significato: si tratta delle figure professionali che lavorano alla comunicazione digitale ovviamente, e mi sembra che ormai si sia capito che una sola persona non può essere specialista di tutto: copywriting, produzione e post produzione di immagini, animazioni e video, strategia e pianificazione, organico e campagne adv, influencer marketing, analisi dei dati, per non parlare della conoscenza dei vari social e del mondo del web.
Ora dovrei dire che consiglio un percorso di formazione che prediliga la scelta specifica e la specializzazione, ma non è esattamente così: penso che un buon compromesso per iniziare a lavorare oggi nella comunicazione in ambito culturale e sfruttando i new media sia di assicurarsi anzitutto un’ottima conoscenza del linguaggio, intendo dire proprio di essere certi di conoscere tutti i dispositivi che la lingua in cui vogliamo comunicare mette a disposizione, non solo di saper rispettare le regole grammaticali e di sintassi. Questa è la prima chiave d’accesso al mondo della comunicazione professionale. Ci vogliono tanto tempo, studio e letture per acquisirla e se non lo si fa durante gli anni della formazione, poi recuperare è difficile. Inoltre, è bene sviluppare una grande sensibilità per la composizione grafica e delle immagini in generale. Infine, ricordo che c’è sempre bisogno di persone che sappiano fare: spesso mi capita di parlare con studenti che si dicono molto interessati ai social e alla comunicazione digitale in generale, ma che in realtà non hanno mai provato a capire e magari a “giocare” con gli strumenti che servono per confezionare un video, un reel, un carosello, un podcast delle grafiche. Ogni persona poi sceglierà in cosa specializzarsi, ma non mi sembra che tutti gli enti culturali abbiano la consapevolezza e la disponibilità per assumere una figura professionale per ogni segmento della filiera della comunicazione. Su questo farei un esempio concreto: in ambito editoriale tutti sanno distinguere le fasi di produzione e promozione di un contenuto (libro, ebook, rivista, quotidiano, ecc.) e nessuno considererebbe auspicabile che la stessa persona si occupi di definire strategia e piano editoriale, di scrivere i contenuti per tutti i canali, svilupparne la parte grafica, controllare la correttezza di testi, immagini e video, provvedere alla loro pubblicazione e promozione e analizzarne le performance. Fino a non troppo tempo fa nella “stanza dei social” poteva accadere proprio questo. Il che ci può stare, il problema è averne o meno consapevolezza, intendo dire, sapere che una o poche persone si trovano a dover svolgere più mestieri anche molto diversi tra loro.
4. Quali sono le mostre la cui comunicazione hai trovato più “ostica”? Dai, raccontiamo un po’ anche le difficoltà del nostro lavoro altrimenti ci ritroviamo a parlare sempre e solo delle cose che ci vengono bene…
Forse la mostra sugli Egizi, lo dico serenamente, perché la mostra è andata bene, abbiamo portato a casa ottimi risultati, ma non è stato semplice gestire alcune complessità: l’ambito della mostra era nuovo per noi e richiedeva conoscenze in ambito archeologico – e qui ci potevamo quasi arrivare grazie a qualche reminiscenza universitaria e letture successive – ma non si trattava di reperti greci e romani. L’Egittologia è un po’ un false friend: la percepiamo come familiare, ma la maggior parte di noi non ne sa nulla, o peggio, crede di conoscere qualcosa, ma perlopiù sono si tratta di false credenze, imprecisioni, vulgata da fiction. Questo quadro non riguarda solo noi che dobbiamo comunicare la mostra, abbiamo anzi, noi avevamo a disposizione la consulenza scientifica del Museo Egizio, ma è anche al pubblico destinatario dei contenuti a cui mi riferisco. Poi c’era qualcosa nell’identità visiva della mostra che un po’ strideva con la “palette stagionale”, diciamo così, (l’inaugurazione è stata in dicembre) e con le caratteristiche che video e immagini dovrebbero avere per funzionare sui social. Inoltre, e questo per nostra scelta, abbiamo deciso di mantenere un livello di approfondimento e di qualità molto alto nei contenuti, escludendo per esempio di giocare con l’”egittomania”. Perché le cose facili non ci piacciono ;-) (Non è vero, ci piacciono molto anche quelle).
5.Ultimissima domanda, poi ci salutiamo: apriresti mai la p.iva? So che ami moltissimo quello che fai, ma vorresti mai farlo da una prospettiva “diversa”? Questa è una domanda che mi fanno spesso sui social e io do sempre la stessa risposta, ma magari è utile leggere le opinioni anche di qualcun’altro!
Ma certo. Dovrei solo essere certa di avere un aiuto per sviluppare il business plan e un commercialista-unicorno, ma che saranno mai questi dettagli! Però non saprei davvero come mi potrei trovare a lavorare in p.iva, in Italia e in questo settore. E poi, come ho detto prima, per me una squadra eterogenea di specialisti (ma specialisti senza paraocchi) è abbastanza imprescindibile per creare buoni contenuti e penso lo sia anche per poter differenziare davvero il lavoro secondo le esigenze e il tone of voice ricercato da ogni cliente.
Quindi, non so se vorrei fare esattamente quello che faccio ora da una prospettiva diversa, forse vorrei provare qualcosa di nuovo o selezionare alcune delle attività che oggi svolgo per approfondirle, per specializzarmi, magari per associarmi ad altri freelance che abbiano competenze in ambiti che non riuscirei a coprire. Oppure c’è sempre l’alternativa allettante: fare tutt’altro!
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