Lavorare nel settore culturale: la curatela nell'ambito della fotografia contemporanea con Laura Tota #11
Intervista a Laura Tota, curatrice di fotografia contemporanea.
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Laura Tota fa un lavoro che chiunque con una laurea in storia dell’arte vorrebbe fare: la curatrice e lo fa con grande passione. Quando facciamo l’università sembra che il mestiere del curatore o della curatrice sia l’unico per cui valga la pena spendersi.
Ma cosa significa oggi fare la curatrice in un settore dell’arte abbastanza di nicchia ovvero quello della fotografia contemporanea? Abbiamo fatto quattro chiacchiere sul suo lavoro e sui suoi progetti passati e presenti.
(Ti anticipiamo che ci sono state alcune domande scomode e molto dirette tipo “come va con la P. IVA?")
1. Ciao Tota, per i pochi che non ti conoscono e per quelli più curiosi, ti chiediamo di iniziare con una breve descrizione di cosa hai studiato e delle tue esperienze lavorative.
L: Intanto ti ringrazio molto per questa chiacchierata. Inizio con un sorriso perché il titolo cita “Laura Tota, curatrice, che fa un lavoro che chiunque con una laurea in storia dell’arte vorrebbe fare”: aggiungerei che anche chi non ce l’ha, come me, forse vorrebbe farlo 🙂 Io per esempio ho studiato Scienze della Comunicazione (quando Facebook muoveva ancora i primi passi), ma questo mi ha aiutata tantissimo a capire il valore del saper comunicare a un soggetto che ascolta, a non essere autoreferenziali: l’autoreferenzialità nella comunicazione non aiuta nessuno, né te che sei il curatore, né l’artista, né il pubblico.
L’autoreferenzialità è incomunicabilità.
Dopo l’università ho lavorato in una classica agenzia di comunicazione e poi dopo 6 anni (quindi in età molto adulta) mi sono licenziata per provare a fare la curatrice: in quegli anni, parlo del 2016, forse non c’era tutto questo hype per la nostra figura. Ho frequentato il corso per curatori di Paratissima e avendo una buona curiosità ed esperienza nel settore fotografico (mentre lavoravo seguivo associazioni fotografiche e mi informavo molto sull’argomento) mi hanno chiesto di restare per provare a seguire questa sezione. Direi che è andata bene!
2. Essere una curatrice oggi significa molto spesso essere Frelance AKA avere una p.iva: come gestisci questo aspetto del lavoro? È una strada che hai intrapreso solo recentemente, dopo diversi anni da dipendente. Ti va di descriverci un po’ cosa è accaduto?
L: È accaduto che il lavoro da dipendente (come responsabile della comunicazione di
Paratissima) mi andava sempre più stretto e sentivo di investire energie e risorse in
qualcosa in cui non credevo più e che non mi faceva più crescere. Sentivo per l’ennesima volta di aver scelto la via più “comoda” sebbene questa, rispetto a quella del passato, mi permettesse di più di lavorare nel mio ambito. Ma non era ancora abbastanza. A 40 anni, non puoi più permetterti di fare cose che non vuoi fare (come direbbe il mitico Gep Gambardella) e quindi ho fatto il grande salto: per fortuna, negli anni avevo già avviato collaborazioni con altre realtà che si occupano di fotografia, quindi il salto non è stato proprio nel vuoto.
Certo, non è sempre rose e fiori, ma in questo momento per me la possibilità di scegliere con chi lavorare e i tempi in cui farlo, è impagabile. A giugno pagherò le mie prime tasse, se le cose dovessero cambiare, lo saprai 🙂
3. Entriamo nel vivo del tuo lavoro: c’è differenza fra una curatrice che si occupa di fotografia e una che fa arti visive in generale?
L: Diciamo che la fotografia si muove su binari completamente diversi rispetto all’arte. Parlo di pubblico, di canali di promozione, di collezionismo, di addetti ai lavori e di media, ma anche delle mille possibilità che ti dà la fotografia dal punto di vista allestitivo e di output: un’immagine può essere esibita, proiettata, stampata su un magazine, diventare un libro, guidare un brand, nasce proprio con questa leggerezza e polisemia di significato che la rende imparagonabilmente più malleabile rispetto alle altre discipline. Sicuramente, questi sono tutti fattori di cui un curatore specializzato in fotografia deve tener conto. Non sono sempre positivi: per esempio, il collezionismo fotografico, sebbene abbia fatto passi da gigante, non è paragonabile al collezionismo classico. La replicabilità (in teoria infinita di un’immagine) sebbene limitata attraverso le edizioni, è un punto dolente.
Figuriamoci per gli autori emergenti.
4. Ci racconti i progetti a cui sei più affezionata?
L: Beh, sicuramente il progetto che mi sta più a cuore è Liquida Photofestival, il festival di fotografia di Paratissima che curo da due anni. È un piccolo e giovane festival, ma sta crescendo forte e vigoroso: il suo punto di forza è l’attenzione verso gli autori emergenti e la possibilità di visibilità che cerca di dare loro attraverso collaborazioni e reti in tutta Italia: tutte le persone che in qualche modo organizzano il festival sono giovani e finalmente trovano spazio in un ambiente in cui chi è un neofita può trovare difficoltà a inserirsi.
Questo mi rende particolarmente orgogliosa e felice perché abbiamo sempre dei feedback molto positivi, sia di pubblico che di critica.
5. Domanda finale, di rito, e obbligata, che sappiamo comprenderai: cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso professionale?
L: Consiglierei di non disdegnare un bel po’ di sana gavetta: la prima estate che ho deciso di cambiare la mia vita professionalmente, l’ho passata a fare la volontaria in due festival italiani importantissimi che mi hanno insegnato moltissimo. Ho persino lavato pavimenti, spolverato e trasportato cornici, ma l’ho fatto con estrema fiducia che sarebbe servito anche quello.
Consiglio inoltre a tutti di visitare mostre/festival il più possibile, proporsi per progetti, di uscire di casa, ma allo stesso tempo di leggere e informarsi costantemente. Insomma, un buon mix tra umiltà e faccia tosta è l’ideale 🙂
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